Il confine tra ciò che si dice e ciò che si fa, tra l’essere e l’apparire, nella nostra scena musicale è ormai da tempo a discrezione dei singoli e a trarne vantaggio è solo l’omologazione. Contro questo un’artista come Tedua si schiera da sempre: lo fa anche nel suo ultimo mixtape semplicemente mettendo al centro dell’attenzione la sua vita, all’apparenza un concetto molto generico.
È proprio dal titolo che si dovrebbe partire per approcciarsi all’ultimo lavoro di un ragazzo che non è più l’ultimo arrivato, non è più la novità, non ha più l’eterno equivoco del fuori tempo; passano gli anni e sempre più gente si accorge o si corregge sul suo talento, con una crescita di spessore sempre più evidente. Sono gli stessi anni che ci separano dalla spontanea freschezza di quel Orange County Mixtape che molti ricordano con malinconia ma mai con rimpianto. Nei vari cambiamenti il filo rosso che lega tutto ciò che produce si è arricchito di esperienze, contratti, soldi ma alla fine ad equilibrare tutto c’è sempre lo stesso ragazzo che viene ancora dalla strada, che ricopre il suo passato di sempre maggiore importanza. Ecco, questo passaggio è tutto: nel momento in cui si entra nel suo viaggio per molti fan è difficile essere oggettivi. Quest’empatia di fondo che si viene a creare, ovviamente, sta alla base anche del suo nuovo progetto.
Superati i preamboli, partiamo col dire che la dicitura mixtape ha ormai sempre più margine d’interpretazione: molti a livello distributivo non differiscono da un album distribuito solo in digitale. È questo anche il caso di Tedua che però mantiene l’essenza spontanea che dovrebbe comunque stare alla base dei tape. Organizzato e formato con meno cura dei dettagli non è molto più di una raccolta di numerose tracce, pubblicate tra l’altro ad una settimana di distanza in due parti, ma non per questo da sottovalutare. Sotto il fattor comune di Vita Vera c’è tutto il vissuto del suo autore che nelle bozze lasciate in sospeso, nelle collaborazioni messe da parte, negli esperimenti lasciati a metà e poi completati trova il tempo di raccontare tutto sé stesso in varie forme. Essendo questo mixtape figlio di tante prove ed esercizi di stile, un aspetto importante da considerare è la varietà non solo musicale ma di scrittura: ci sono veri e propri stravolgimenti di contesto e di registro. Nella sua espressione multiforme, frutto di ricerche liriche che vedremo completate più avanti, si attua il cambiamento più evidente della sua stesura. Al flusso di coscienza che ha citato spesso fino ad ora per riferirsi alla sua scrittura, fatta d’immagini poco lineari spesso apparentemente sconnesse ma connesse in qualcosa di più grande, integra un approccio più narrativo. Ed è così che soprattutto nei momenti più emotivi i soggetti sono più definiti del solito, con un uso di periodi più corposi che si affiancano alla già massiccia presenza di metafore e aggettivi. Ciò che quindi avevo presentato come importanti novità ad alcuni potrebbero apparire come semplici sottigliezze “poetiche”.
In realtà gli elementi che giustamente saltano all’occhio sono altri, prima di tutto a livello di musicale, campo molto più intuitivo. Qui infatti il tutto si divide tra alcune soluzioni che si rifanno al vecchio Mario, che richiamano quindi sia l’ondata OC che lo stile più intimo di Mowgli, ad altre più moderne e inedite nel suo percorso: sono tante, dalla drill Uk/Brooklyn all’emo trap, da un retrogusto pop fino allo stile Lo-Fi e via dicendo. Alla base di questo c’è l’assoluta sintonia con Chris Nolan, con cui prosegue uno dei sodalizi più iconici della nostra scena trap. Ciò non esclude altri nomi. A Sick Luke, che avevamo già trovato in Party Prvt nella deluxe di Mowgli, si aggiungono AVA, che ha seguito Capo Plaza nel suo featuring, Shune, fresco dell’ottimo lavoro nell’ultimo disco di Bresh, Garelli, protagonista del roaster Adriacosta e Nebbia, con cui torna a collaborare dopo le produzioni in Amici Miei Mixtape; tutti contribuiscono a creare sound molto vari e a rimettere in discussione il tutto.
Ma la vera dichiarazione d’intenti del disco e di Tedua in generale è la diversità, che concettualizza la varietà della musica: “che suono diverso lo sai” ripete nel ritornello della prima traccia, a sottolineare la bellezza della diversità contro la tristezza della omologazione. Lealtà, fratellanza, strada, paranoie, amori, passano prima di tutto sotto la sua forte personalità; non ci sono logiche c’è solo la sua anima pura con valori ben più grandi della singola strofa o del singolo album.
Per questo ad accompagnarlo ci sono nella prima parte in gran parte gli stessi ragazzi con cui è cresciuto di Genova o Milano che sia, a cui si aggiungono Dargen D’Amico, suo maestro lirico, e l’inedita collaborazione con Capo Plaza che esce dalla sua comfort zone. Nella seconda parte invece troviamo quasi solo featuring inediti da Tony Effe a Massimo Pericolo fino ad altri più improbabili come Gemitaiz, Madman, Shiva e Paky. Tanto nelle tracce con dei featuring quanto in quelle da solista emerge la sua visione della musica e, implicitamente, di chi gli sta attorno. “Chi lo avrebbe mai detto un poeta in famiglia, sì ma in questa famiglia un fratello è fratello” canta Sangue in Manhattan dedicando i versi al padrone di casa, riuscendo ad unire bene i due lati della stessa medaglia: la poesia si fonde con i suoi valori, risultando la stessa persona sia in amore che in amicizia. Questo effetto poetico, molto raro in rapporto ai numeri, non per questo si perde nella retorica e nel tecnicismo; Tedua sa stare al gioco, ma cambia sempre regole all’ultimo per rendere imprevedibile la sua prossima giocata.
Ci sarebbe ancora tanto da analizzare dato che tra le righe si nascondono spunti di riflessione molto interessanti che da soli aprirebbero alla discussione, ma in questo sta anche la sua magia: ognuno può cercarsi la propria idea, la propria versione dei fatti. Alla fine di tutto porta a casa quest’altro capitolo della sua carriera che precede secondo le indiscrezioni “La Divina Commedia”, la sua terza opera: non sappiamo se il titolo sarà effettivamente questo, sta di fatto che il paragone anche solo concettuale alza ancora di più le aspettative. Il 2020 per Mario, quindi, sembra essere ancora lungo.
Articolo a cura di Luca Gissi!