Si sa che qualsiasi innovazione importata nel nostro caro e, sottolineato, vecchio paese si deve sempre scontrare con il piú classico perbenismo e con un rigetto spesso collegato a motivi culturali.
L’italiano mostra continuamente la sua presunta superiorità in qualsiasi confronto: è molto piú facile che qualcosa si applichi al suo modello e non il contrario. Questo non succede solo nelle questioni piú importanti; oggi infatti ci limiteremo a parlare di quanto l’hip hop abbia catturato l’immaginario pop ben anche la cultura popolare non sappia bene cosa sia. Il sottile filo che collega questo al discorso di prima è sempre la percezione italiana del mondo.
Lo stesso rap prima di prendersi la sua rinvincita anche qui da noi ha dovuto aspettare decenni ma, appena possibile, ha catalizzato il mondo musicale: ad oggi anche un giovane artista da radio piuttosto che one-hit wonder, in percentuale è quasi sempre collegato al mondo del rap. Quanto rap poi ci sia in queste opere è un’altra discorso: si sa, a volte ci si deve appellare alla forma piuttosto che al contenuto, messo in conto che giá la forma non sia cosí stimolante. Non potremmo definirli nemmeno parte integrante della scena perchè in tutto quello che fanno prevale quasi sempre la componente pop, non avendo nemmeno un grande interesse a farne parte.
Ma non siamo qui per parlare di loro ma di quanti pur rivestendo un ruolo specifico nel panorama urban italiano riescono ad avere tutti i crismi per avere un piede nel campo pop. Qui si ritorna al punto di partenza e ci chiediamo cosa sia definibile pop in Italia oggi: per una risposta quanto piú esaustiva dovremmo attaccarci alla radice del nome. È musica popolare, appartenente quindi ad una fetta di pubblico il piú ampia possibile, pubblico che in Italia con il rap, se non per i piú giovani, a poco con cui spartire.
L’altro fenomeno da considerare è questo: quando è finito e se è finito il momento in cui l’hip hop veniva visto in maniera ironica e di semplice anomalia musicale. Premettendo che sia una questione attecchita qui da noi, dato che America, Inghilterra o Francia vince una mentalitá molto diversa, lo stereotipo del rapper col cappellino al contrario o dello slang piú improbabile piú che segno di riconoscimento è sempre stato simbolo di derisione.
Quegli inutili stereotipi hanno quantomeno edificato nell’immaginario collettivo che il rap è una realtá, ma ben piú solida di come presentata. Quegli inutili stereotipi non sono stati cosí inutili se pensiamo che il mercato discografico si poggia in gran parte sui suoi prodotti: alla fine gli stereotipi non hanno vinto la prova piú importante, quella del tempo. Solo il tempo ha dato ragione al rap e non agli stereotipi e ha reso lo stesso rap musica pop e la stessa musica pop nome finale di qualcosa di sempre piú ampio. Tutto questo sta in equilibrio nel confine in cui l’evoluzione dispregia il cambiamento.
La palla passa ora a chi c’era prima di quegli stereotipi, ai cultori o ai semplici appassionati del genere. Cosa cambia per loro? È difficile da dirsi con certezza. È probabile che andranno a cercare quella parte del genere che piú gli rappresenta, stili che spesso non rientrano nel calderone della musica pop e che forse mai ci entraranno. Alla fine è meglio cosí. Concludendo si può tranquillamente affermare che, abbattute tutte le barriere, il prossimo passo potrebbe essere incanalare gli stereotipi pop nella linguaggio del rap, situazione che forse non è cosí tanto lontana da noi.
Articolo a cura di Luca Gissi!