Vedere musica italiana, della nostra lingua, delle nostre strade e delle nostre radio andar bene all’estero fa sempre sempre uno strano effetto, sará innanzitutto perchè non succede quasi mai. L’era digitale ha aiutato la diffusione tempestiva della musica e i confini possono essere superati con qualche carattere digitato, ma una cosa che rimane sono gli interessi del pubblico generalista che vede poco nel prato del vicino.
Dati alla carta infatti, lo stesso Sfera Ebbasta, per esempio, pur essendo per distacco il rapper italiano con piú rilevanza a livello internazionale non ha mai toccato le vette di altri paesi: se non consideriamo Svizzera, paesi limitrofi e qualche sporadica apparizione nelle top francesi e mondiali di Spotify, i numeri eclatanti raggiunti nel mercato italiano scompaiono se si superano i confini.
Si sa che in particolare il rap è un prodotto estremamente rappresentativo, identitario di un dato tessuto culturale ed esportarlo oltre confine non è per nulla semplice: è una cosa che succede con una certa facilitá solo con il mercato americano, capace di piazzarsi ai primi posti di tutto il mondo sia con l’ultima hit del rapper di punta che con l’ultima traccia virale tik tok, messo che ci sia differenza. Essendo però i vari mercati occidentali satelliti di quello americano, perchè piú in grande le societá occidentali sono giá satelliti americane, sarebbe meglio limitare il tutto ad un discorso continentale dove ci sono reali possibilità di entrare in classifica: se diamo un’occhiata alle top i nomi italiani restano estremamente rari.
Facendo il ragionamento contrario però, quanti dischi o singoli rap francesi, inglesi o tedeschi arrivano ai primissimi posti di una top italiana? In media se non per featuring internazionali praticamente nessuno, proprio perchè la scena urban di un determinato paese, in particolare extra-usa, è radicalmente legata al suo terreno di origine: spesso ha vita, tantissima vita, solo in quella terra giá fertile. Da altre parti il prodotto non attecchisce e, al massimo, verrá ricercato solo da una nicchia di ascoltatori interessati per esempio al mercato europeo.
Basta semplicemente guardare le classifiche italiane dei dischi: il primo album urban straniero è AfterHours di The Weeknd, seguito da Pop Smoke, Juice Wrld, Xxx Tentacion, che vestono un ruolo un po’ particolare, e dai sempre verde Travis Scott e Post Malone. Nei singoli i numeri sono ancora piú decimati, trovando in top 100 Fimi solo Rockstar di Da Baby e l’ultimo singolo di Drake con Lil Durk.
Ma tornando a noi, gli stessi featuring tra i rapper e in particolare con quelli d’oltralpe possono aiutare alle diffusione di un nome ma, nel momento in cui viene a mancare la controparte della propria lingua, in un altro singolo per esempio, in pochi sono quelli che rimarranno: quei pochi non avranno mai la forza numerica per portare un’altra lingua da sola, per di piú non inglese, in una top 50 o a varie certificazioni. E anche alzando la posta in palio con featuring sempre piú importanti, i risultati non sono molto piú alti di un featuring con un nome italiano: siamo sicuri che un Cupido con Capo Plaza al posto di Quavo non avrebbe lo stesso numero di platini? Non ultimi i due featuring del nuovo disco della FSK, Chief Keef e Sfera: quale sará il piú ascoltato a discapito dell’altro artista globalmente piú conosciuto? La risposta, se prendiamo in analisi il pubblicò italiano, viene da sè.
Sottigliezze come queste per alcuni potrebbero essere ovvietà ma dimostrano quanto alla fine i mercati nazionali, per prodotti cosí in vista, siano circuiti che fanno capo ai gusti dell’ascoltatore medio a cui poco cambia se, per cambiare esempio, Fedez gli presenti un Trippie Redd o una DPG, Emis Killa gli presenti un Westside Gunn o un Lazza: per fortuna anche a questi livelli la musica è fatta per il piacere di produrla, rinunciando a qualche numero ma centrando soddisfazioni personali degli stessi artisti.
I nomi che invece farebbero la differenza in featuring si possono contrare sulle dita e non sono altro che gli stessi citati per le classifiche precedenti; un Travis Scott, un Drake al massimo un A$ap Rocky potrebbero portare sostanziali surplus a livello di vendite, ma giá spingendoci ad un Lil Uzi o ad un Playboi Carti chissá. E i nomi italiani ed europei che possono aspirare a queste collaborazioni li potremmo contare anche questi sulle dita.
Comunque divagando troppo abbiamo perso il punto di partenza, dando risposte non proprio dirette ma complementari a un dato di fatto che ci fa tornare coi piedi per terra: nessun artista hip hop italiano per adesso ha effettivamente smosso le vette internazionali, ma si può dire che qualcuno le abbia toccate. È il caso di Mahmood che con la sua Soldi è riuscito ad arrivare ai primi posti di molti paesi europei tra cui due importanti mercati, quello spagnolo e francese, dove ha vinto rispettivamente disco di platino e d’oro: alla fine è frutto di un buon prodotto e della giusta musicalitá, non di chissá quale leggitimazione della musica italiana all’estero. La canzone piace, la gente la ascolta. Esportare un’intero artista da contestualizzare in una scena musicale fatta di altri artisti è molto piú difficile e, nell’immediato futuro, quasi impossibile. Sky is the limit, dicono gli americani.
Alla fine il titolo diceva poco quanto nulla sull’articolo, ma se siete arrivati fin qui vi svelo anche il perchè: citarvi nomi che non siano i piú conosciuti è inutile. È la cosa piú ovvia ma, salvo combinazioni da lotteria, ad avere la priorità per sfondare sono o quelli che hanno numeri da capogiro giá in Italia, magari con ulteriori featuring internazionali al posto giusto e al momento giusto, o altri che riescono a slegarsi completamente dal proprio contesto musicale. Chissá che manchi poco alla prossima super hit internazionale e chissá che di mezzo non ci sia “per la prima volta” un rapper della scena nostrana.