Le parole Rap e limitazioni non potrebbero neppure essere nella stessa frase. Eppure, questa dicotomia, alquanto contraddittoria, è diventata frequente con la commercializzazione dell’hip hop, in quanto genere musicale alternativo, non più soltanto residuale(underground). Questa modifica contenutistica, frutto della logica commerciale, ha avvicinato un pubblico sempre maggiore e predisposto ad una diversa apertura culturale.
Discostandosi dall’esclusività, dagli snapbacks e dai pantaloni larghi a vita bassa, anche la violenza all’interno dei testi risulta notevolmente affievolita, divenendo un marchio di fabbrica di un ristretto gruppo di artisti. Il cambio radicale, verso testi più “puliti” e questa edulcorazione delle tematiche hanno contribuito ad abbattere ogni stereotipo sofferto in passato, riscontrando consensi delle radio e dei vari media. Finalmente, il rap diventava appetibile e non veniva demonizzato dall’arretratezza culturale collettiva, foraggiando l’emersione di tanti nuovi artisti,apparentemente non appartenenti al “rap game” e provenienti da diverse scuole di pensiero. Sicuramente, in Italia, il cambio di tendenza è avvenuto lentamente, perlopiù grazie a fattori legati ad un’ampliamento e ad un miglioramento della comunicazione. Piuttosto che limitarsi, gli artisti si sono preoccupati di adattarsi alle esigenze di mercato e del pubblico, non più cieco dinanzi ad argomenti “bollenti”. In realtà, la trattazione di tematiche disparate non si è mai discostata da questa disciplina. Dalla legalizzazione della Cannabis, alle più classiche rivendicazioni delle libertà fondamentali, gli artisti non si sono mai risparmiati. Del resto, rap è sintomo di verità, barre su barre sputate su beat. D’altronde, denunce sociali, economiche e politiche hanno accompagnato questa forma d’arte, sin dalla nascita. Ad esempio, i Club Dogo non hanno mai risparmiato critiche descrizioni delle realtà malfamate milanesi. Allo stesso modo e piuomeno parallelamente, i One Mic facevano lo stesso della “Black City”. In realtà, il gruppo torinese, nella stupenda “Chi paga?” si è spinto ben oltre, contestando la follia dell’economia capitalista ed i danni perpetrati dalla suddetta nella società asiatica. Forse è esattamente questo che è venuto meno, ed ciò che i “puristi” criticano aspramente. Infatti, una discreta porzione di pubblico, ancorato ai primordiali principi del rap, ritiene quesa metamorfosi una totale svalutazione della disciplina.Ovvero, esigenze economiche e commerciali di ogni tipo, subentrate negli anni, hanno in qualche modo influenzato i testi degli artisti e la loro impronta sulla scena? Per non smarrire completamente la via intrapresa dall’hip hop, in quanto arte popolare contrapposta a qualunque tipologia di ingiustizia, sarebbe auspicabile un’inversione di rotta, soprattutto in termini di approccio alla disciplina. Oggi, purtroppo, il desiderio di voler monetizzare e di volersi affermare nel mondo musicale ha nettamente prevaricato l’esigenza di dover trasmettere un messaggio di rilievo.
Le pressioni delle etichette, dei media e l’implemento di popolarità degli artisti, rispetto ai predecessori dei decenni scorsi, hanno sicuramente inciso sulla scrittura dei brani e sui modi di apparire al pubblico.
A voler quasi smentire queste parole, proprio negli ultimi giorni, in seguito ai fatti di cronaca nera di Colleferro, diversi artisti hanno deciso di intervenire, attraverso i propri canali social, esprimendo parole di solidarietà e sdegno. In merito, mostrando sostegno al malcapitato Willy, si segnalano gli interventi di Ghali, Noyz Narcos e Fedez. In fondo, soprattutto in merito a vicende simili, l’hip hop non potrà mai assumere vesti taciturne ed omertose.
Articolo a cura di Andrea Adamo!