È appena uscito il vostro joint album “Hours”, che ha da subito stupito per il sound, un’incredibile commistione tra old e new school. Come avete lavorato su questo in fase di produzione?
Ci siamo lasciati semplicemente trasportare dalle nostre emozioni rompendo un po’ gli schemi mentali che potevano ostacolarci, tutto super naturale.
Quali sono le influenze artistiche di Hours?
Dentro il disco c’è un mix di suoni, melodie e idee di vario genere con un approccio vasto, partendo dai 2000 fino ad arrivare ai mood più attuali.
Partendo dal sound fino alla grafica, tutto è curato nei minimi dettagli. Quanto avete impiegato nella costruzione di un progetto così “preciso”?
All’inizio siamo partiti con meno pretese, forse non avevamo ancora chiara la direzione, ma piano piano le cose si sono evolute e abbiamo impiegato più tempo del previsto per trattare ogni aspetto; un anno e mezzo di lavorazione circa.
Caratteristica del vostro album è sicuramente il fatto che anche il produttore canti, mentre una costante è il dialetto. Considerazioni su questo?
È una cosa spontanea ormai, le vibes non mentono mai, abbiamo pensato oltreoceano senza porci limiti o paletti di circostanza.
Da cosa deriva la scelta di lavorare insieme ad un progetto, era già nei vostri piani?
Sì, l’idea è partita dopo Audemars. Era stimolante per noi l’idea di fare un progetto del genere.
Oggi la figura del produttore si affianca al rapper in un modo nuovo rispetto al passato, quanto è importante che ci sia sinergia fra il produttore e l’artista, soprattutto rispetto a voi?
Per fare la differenza a volte diventa fondamentale, ma sta anche al rapporto che si va a costruire. Noi siamo la fam, siamo veri amici ancor prima del lavoro.
In questi tempi si tende ad inquadrare gli artisti in un genere definito. Voi sembrate sfuggire a questa tendenza, voi come vi vedete rispetto alla scena musicale italiana?
Noi facciamo il nostro, non cerchiamo di allacciarci per forza ad un trend o a come la scena sta funzionando. Riusciamo ad apprezzare tutto, ma quando creiamo cerchiamo più qualcosa che parta da dentro di noi.
In “Hours”, ciò che colpisce è anche il modo in cui progetto è stato presentato; l’idea della numerazione delle tracce che segnano l’ora, è davvero originale. Questo ha un significato rispetto ai brani?
Quando abbiamo trovato il concept che stesse meglio sull’intero progetto, ascoltando i pezzi ci sembrava originale numerarli con gli orari… si allaccia al titolo e alla nostra contrapposizione di Golden e Blue Hour.
Qualche curiosità sui brani in particolare?
WE UEM, ci sono volute tre versioni prima di arrivare alla finale, l’abbiamo scritto in un Airbnb a Napoli. È il mash-up di due momenti, nostro e de Le Scimmie: abbiamo portato il nuovo nella scena.
In cosa pensate possa fare la differenza il vostro album?
Sound, approccio e stile. Niente per forza di vecchio, ma suonando freschi e innovativi.
Nel disco sono presenti sei collab, come queste sono riuscite ad arricchire l’album nel complesso?
Ogni persona che ha collaborato con noi ha dato il tocco che mancava al brano, sicuramente con ognuno di loro abbiamo chiuso un cerchio che doveva chiudersi.
Intervista a cura di Sara De Lucia!