Ne avevamo parlato in occasione della release del singolo “Er nu film”. O’Iank, leggenda del rap napoletano, con il suo nuovo album “UND1C1” ha dimostrato come l’autentica passione per la musica possa creare qualcosa di intenso ed unico. L’album presenta una forte introspezione, un percorso attraverso sé stessi ed un’evoluzione interna, in rapporto all’esterno e alle trasformazioni della vita; insomma… un altro album destinato a diventare un masterpiece nella carriera dell’artista, stavolta da solista e targato BFM.
Parliamone con lui…
UND1C1 è il tuo nuovo album, da cosa deriva la scelta del titolo?
Sono nato l’11 Giugno e rappresenta il dualismo che viviamo noi del segno dei Gemelli, ma non solo.
Poi è una costante della mia vita che da continuità anche a tante cose fatte in passato.
Come Spirito e Materia, Tutto e Niente, Suonn e Realtà etc.
Ho voluto far venire fuori entrambi i lati di me, quello più cinico e spietato che guarda fuori e quello più intimo e profondo che guarda dentro.
Cosa rappresenta per te l’uscita di questo disco?
Come ho scritto nel post di instagram che ne celebrava l’uscita, è una ripartenza, una rinascita.
Ho avuto anni di stop dovuti da eventi personali che mi hanno tolto la giusta serenità per fare musica.
Sono nato l’11 Giugno e rappresenta il dualismo che viviamo noi del segno dei Gemelli, ma non solo.
Poi è una costante della mia vita che da continuità anche a tante cose fatte in passato.
Come Spirito e Materia, Tutto e Niente, Suonn e Realtà etc.
Ho voluto far venire fuori entrambi i lati di me, quello più cinico e spietato che guarda fuori e quello più intimo e profondo che guarda dentro.
Cosa rappresenta per te l’uscita di questo disco?
Come ho scritto nel post di instagram che ne celebrava l’uscita, è una ripartenza, una rinascita.
Ho avuto anni di stop dovuti da eventi personali che mi hanno tolto la giusta serenità per fare musica.
Nel 2015 ho perso mia madre e sono riuscito comunque a fare un altro disco con i Fuossera ma non ero centrato, non avevo il giusto focus per capire dove andare sia liricamente che con il sound.
Il tempo poi mi ha dato le risposte che cercavo e ho capito molte cose che ho messo in UND1C1 e altre che faranno parte dei prossimi progetti.
Ogni testo è pieno di te e della tua vita, anima e parole si fondono in ogni strofa. Cosa ha rappresentato la musica nel tuo vissuto? Parlaci un po’ di come è nata la tua passione, quando hai sentito il bisogno di esprimerti con il rap…
Nei primi anni 90 ho cominciato a fare i graffiti ma già prima ascoltavo dischi dei Run Dmc, Public Enemy, Fresh Prince n Jazz Jeff, LL Cool J ed altri.
Grazie a mio fratello e mio cugino che erano tra i primi nella periferia nord di Napoli ad ascoltare questo tipo di musica.
Poi con il tempo ho sentito l’esigenza di far passare il messaggio che mettevo nei graffiti in maniera più vasta e diretta, insieme a Sir Fernandez ho fondato i Fuossera e da li in poi è storia.
La musica ha condizionato tutte le scelte più importanti della mia vita e credo che lo farà ancora, è un bisogno a cui non posso rinunciare, in tutte le sue forme resterà con me fino alla fine anche quando non me la sentirò più di performare io stesso farò qualcosa per soddisfare questo bisogno.
Le parole proprio come una poesia, nero su bianco, raccontano esperienze di vita, successi e delusioni, speranze. Che ruolo occupa nella tua vita?
Da subito sia io che i miei compagni di viaggio abbiamo cercato di comunicare con un certo tipo di scrittura che non rientrava nei canoni del rap napoletano sentito fino a quel momento, la chiave di quello che scrivo è sempre quella, cercare di dare un colore poetico anche a cose grigie che fanno parte della realtà.
Purtroppo e per fortuna ho forse il limite di scrivere cose viste, vissute e sentite veramente, a volte anche se il racconto diventa cinematografico è sempre una narrazione di ciò che vivo.
Piscinola, nella periferia nord di Napoli, è il luogo in cui sei cresciuto e che ti ha cresciuto. La critica alle istituzioni assenti, al sistema, ma anche a chi intende la “malavita” come un gioco, è una costante nel disco. Quanto il tuo quartiere ha influenzato il tuo vissuto personale e artistico?
Tanto, tantissimo, anche se forse proprio in questo disco la critica alle istituzioni è quasi impercettibile rispetto a cose precedenti, ho sentito la necessità di far uscire più me stesso e la mia vita che l’andamento di Napoli o dell’Italia.
Il tempo poi mi ha dato le risposte che cercavo e ho capito molte cose che ho messo in UND1C1 e altre che faranno parte dei prossimi progetti.
Ogni testo è pieno di te e della tua vita, anima e parole si fondono in ogni strofa. Cosa ha rappresentato la musica nel tuo vissuto? Parlaci un po’ di come è nata la tua passione, quando hai sentito il bisogno di esprimerti con il rap…
Nei primi anni 90 ho cominciato a fare i graffiti ma già prima ascoltavo dischi dei Run Dmc, Public Enemy, Fresh Prince n Jazz Jeff, LL Cool J ed altri.
Grazie a mio fratello e mio cugino che erano tra i primi nella periferia nord di Napoli ad ascoltare questo tipo di musica.
Poi con il tempo ho sentito l’esigenza di far passare il messaggio che mettevo nei graffiti in maniera più vasta e diretta, insieme a Sir Fernandez ho fondato i Fuossera e da li in poi è storia.
La musica ha condizionato tutte le scelte più importanti della mia vita e credo che lo farà ancora, è un bisogno a cui non posso rinunciare, in tutte le sue forme resterà con me fino alla fine anche quando non me la sentirò più di performare io stesso farò qualcosa per soddisfare questo bisogno.
Le parole proprio come una poesia, nero su bianco, raccontano esperienze di vita, successi e delusioni, speranze. Che ruolo occupa nella tua vita?
Da subito sia io che i miei compagni di viaggio abbiamo cercato di comunicare con un certo tipo di scrittura che non rientrava nei canoni del rap napoletano sentito fino a quel momento, la chiave di quello che scrivo è sempre quella, cercare di dare un colore poetico anche a cose grigie che fanno parte della realtà.
Purtroppo e per fortuna ho forse il limite di scrivere cose viste, vissute e sentite veramente, a volte anche se il racconto diventa cinematografico è sempre una narrazione di ciò che vivo.
Piscinola, nella periferia nord di Napoli, è il luogo in cui sei cresciuto e che ti ha cresciuto. La critica alle istituzioni assenti, al sistema, ma anche a chi intende la “malavita” come un gioco, è una costante nel disco. Quanto il tuo quartiere ha influenzato il tuo vissuto personale e artistico?
Tanto, tantissimo, anche se forse proprio in questo disco la critica alle istituzioni è quasi impercettibile rispetto a cose precedenti, ho sentito la necessità di far uscire più me stesso e la mia vita che l’andamento di Napoli o dell’Italia.
Il discorso della “Malavita” è complesso perché purtroppo molti ragazzi sono troppo giovani e non sanno che si finisce male al 100%, il mio intento è anche far capire che forse troppe volte c’è gente che enfatizza e mitizza situazioni e persone che non hanno neanche visto da lontano.
Ho molti amici che non ho visto per più di 10 anni e che non sono riusciti neanche a salutare mio fratello per l’ultima volta.
Certe dinamiche sono tanto più complesse di quello che la brandizzazione della criminalità vuole vendere.
Pensi di poter essere un’ispirazione o una salvezza per chi si rivede nelle tue parole e in qualche modo vive i tuoi brani sulla pelle?
No, questo pensiero l’ho abbandonato molto tempo fa, sono troppo pochi quelli che percepiscono a pieno certe cose.
Io cerco di dire e fare ciò che sono, poi se riesce ad essere d’ispirazione o altro che ben venga ma non è questo il mio obiettivo principale.
La prevalenza del napoletano è indiscutibile ed è anche ciò che rende immediata ogni strofa dal primo ascolto e, per chi lo capisca o no, il messaggio è forte. Infondo il dialetto non è solo una lingua, cosa ne pensi a riguardo?
È così, il napoletano è una forma d’espressione ben precisa, anche nei suoni, puoi dire la stessa frase con due fonetiche diverse e ti arrivano due messaggi totalmente diversi.
Spesso ho discusso con Luca e gli altri del fatto che anche il napoletano della nostra periferia per esempio sia diverso da quello del centro o altre zone, o ancora di più come le nuove generazioni abbiano totalmente un altro slang rispetto a noi.
Se dovessi descriverci in una parola la chiave del tuo lavoro, quale sarebbe?
Ho molti amici che non ho visto per più di 10 anni e che non sono riusciti neanche a salutare mio fratello per l’ultima volta.
Certe dinamiche sono tanto più complesse di quello che la brandizzazione della criminalità vuole vendere.
Pensi di poter essere un’ispirazione o una salvezza per chi si rivede nelle tue parole e in qualche modo vive i tuoi brani sulla pelle?
No, questo pensiero l’ho abbandonato molto tempo fa, sono troppo pochi quelli che percepiscono a pieno certe cose.
Io cerco di dire e fare ciò che sono, poi se riesce ad essere d’ispirazione o altro che ben venga ma non è questo il mio obiettivo principale.
La prevalenza del napoletano è indiscutibile ed è anche ciò che rende immediata ogni strofa dal primo ascolto e, per chi lo capisca o no, il messaggio è forte. Infondo il dialetto non è solo una lingua, cosa ne pensi a riguardo?
È così, il napoletano è una forma d’espressione ben precisa, anche nei suoni, puoi dire la stessa frase con due fonetiche diverse e ti arrivano due messaggi totalmente diversi.
Spesso ho discusso con Luca e gli altri del fatto che anche il napoletano della nostra periferia per esempio sia diverso da quello del centro o altre zone, o ancora di più come le nuove generazioni abbiano totalmente un altro slang rispetto a noi.
Se dovessi descriverci in una parola la chiave del tuo lavoro, quale sarebbe?
Ripartenza.
Entrando nel vivo, l’album presenta 14 tracce prodotte da te, da Fedele e da Shadaloo. È stato difficile trovare il giusto sound? Quanto lavoro c’è dietro?
È stato un processo lungo ma non troppo difficile, Luca ci ha aiutato molto in questo, io e Fabio (Shadaloo) veniamo forse dalla stessa metodologia di beatmaking rispetto a Fedele, io sono un fissato del campionamento, Fabio è molto esigente sul suono delle drum; Fedele invece è uno istintivo che riesce a produrre solo quando è veramente ispirato, siamo stati per settimane intere in studio fatte di ore e ore di prove con lui a suonare melodie, a comporre ritmiche etc.
La matrice del sound di questo disco è sua, forse è servito anche a lui per maturare e diventare il producer che è oggi.
Mi ha aiutato anche con le linee melodiche e con la costruzione di pezzi come “Er nu Film” per esempio.
In generale il disco ha periodi diversi dentro e chi è più attento se ne accorge.
Parliamo un po’ delle collaborazioni, sono quattro e stilisticamente diverse tra loro, come sono nate?
In maniera totalmente naturale e spontanea, una sera inviai un sample a Shadaloo e gli dissi fai un beat con questo campione e da lì poi è nato “Ce la farò”, CoCo venne un pomeriggio in studio e dopo che Fedele fece tipo 3 beats diversi scegliemmo una cosa che nei giorni precedenti avevano fatto insieme lui e Shadaloo, la sera stessa Corrado registrò il ritornello e il giorno dopo il pezzo era finito.
Con Luca fino all’ultimo secondo dovevo fare un altro pezzo, poi a casa sua decidemmo di prendere questa mia produzione fatta nel primo lockdown ed è uscito “Guerra e Pace”, ho riscritto tutto in una sera.
La collaborazione con Luchè è la consacrazione di un lungo rapporto durato negli anni, fin dai tempi di Poesia Cruda. Che valore ha per te questa traccia?
Forse “Guerra e Pace” è il centro dell’album, tralasciando per un attimo le mie strofe, il ritornello di Luca che è un qualcosa che lui voleva comunicare di se stesso, è allo stesso tempo ciò che sono io a 360 gradi.
Questo succede solo quando collabori con una persona con cui hai condiviso tanto e che è una vera e propria costante della tua vita.
Di base in quel brano c’è la radice della mia musica che è anche la sua.
Poi nelle strofe ho voluto proiettare delle immagini che ricordano dei momenti che sono stati importanti per noi e che hanno creato tutto in filone di musica che vive ancora oggi anche se ha forme e contenuti molto diversi.
Harlem (Freestyle) è invece l’anello di congiunzione con l’America, oltre che nel titolo, anche nello stile e in ciò che trasmette la traccia. Ti senti appartenere di più al rap d’oltreoceano?
L’ho chiamato Harlem proprio perché la prima parte del beat mi ricordava quelle strade, ci sono stato un mese nel 2009 insieme a Luca, CoCo e Geeno.
Poi ci ho scritto di getto in un oretta senza avere un argomento di base, per questo l’ho denominato (Freestyle).
Di base si, devo per forza appartenere di più a tutto quello che è la black culture di New York, LA, di Atlanta etc.
Quando l’ Hip Hop è entrato nella mia vita c’era quello, solo quello, che arrivava a piccole dosi con informazioni e dischi che dovevamo andare a cercare noi, ed era molto difficile capire bene, nei 90 era tutto molto lontano, per questo spesso dico che ora sono tutti più fortunati, ora trovi tutto in un istante.
Però ti dico che anche il rap francese o inglese mi hanno formato tanto da dopo il 2000 in poi con i dischi dei Lunatic, lo stesso Booba, Dizee Rascal, al quale ho voluto fare un tributo con la cover di UND1C1.
Era un segnale di speranza che certe cose fatte bene si potessero realizzare anche in Europa.
Certe cose della “nuova” trap o della UK drill per esempio a chi è più attento e ricerca la musica con costanza sono arrivate molto prima del boom della “wave” italiana.
È stata dura lavorare al disco con i vari lockdown? Ma soprattutto, quando si sbloccherà la situazione, porterai live il tuo album? Noi non vediamo l’ora di sentire un po’ di vero rap dal vivo!
Io avevo chiuso il disco prima del primo lockdown, poi trovandomi in questa situazione da marzo a giugno stando chiuso in casa ho prodotto svariati Freestyle per IG e facendo beats tutti giorni ho fatto anche 3 pezzi che sono andati a sostituirne 3 nella precedente tracklist.
John White è uno di questi, gli altri due non li svelo, lo lascio capire a chi leggerà questa intervista e lo ascolterà.
Per quanto riguarda i concerti riesco a dirti solo che per capire questo disco al 100% lo si dovrebbe sentire anche live, perché ho sempre voluto differenziare le cose fatte dal vivo ai dischi, è la matrice del rap, ho già in mente come fare certe cose, sarebbe un sogno e spero con tutto me stesso di poterlo realizzare.
Facciamo tutti gli scongiuri del caso.
C’è qualcuno a cui vorresti dedicare UND1C1?
A mia madre, a mio fratello, alla mia compagna che sopporta tutto lo stress e i miei momenti no quotidianamente.
E a me stesso.
Grazie a te e tutta la redazione di Exclusive Magazine.
Forse “Guerra e Pace” è il centro dell’album, tralasciando per un attimo le mie strofe, il ritornello di Luca che è un qualcosa che lui voleva comunicare di se stesso, è allo stesso tempo ciò che sono io a 360 gradi.
Questo succede solo quando collabori con una persona con cui hai condiviso tanto e che è una vera e propria costante della tua vita.
Di base in quel brano c’è la radice della mia musica che è anche la sua.
Poi nelle strofe ho voluto proiettare delle immagini che ricordano dei momenti che sono stati importanti per noi e che hanno creato tutto in filone di musica che vive ancora oggi anche se ha forme e contenuti molto diversi.
Harlem (Freestyle) è invece l’anello di congiunzione con l’America, oltre che nel titolo, anche nello stile e in ciò che trasmette la traccia. Ti senti appartenere di più al rap d’oltreoceano?
L’ho chiamato Harlem proprio perché la prima parte del beat mi ricordava quelle strade, ci sono stato un mese nel 2009 insieme a Luca, CoCo e Geeno.
Poi ci ho scritto di getto in un oretta senza avere un argomento di base, per questo l’ho denominato (Freestyle).
Di base si, devo per forza appartenere di più a tutto quello che è la black culture di New York, LA, di Atlanta etc.
Quando l’ Hip Hop è entrato nella mia vita c’era quello, solo quello, che arrivava a piccole dosi con informazioni e dischi che dovevamo andare a cercare noi, ed era molto difficile capire bene, nei 90 era tutto molto lontano, per questo spesso dico che ora sono tutti più fortunati, ora trovi tutto in un istante.
Però ti dico che anche il rap francese o inglese mi hanno formato tanto da dopo il 2000 in poi con i dischi dei Lunatic, lo stesso Booba, Dizee Rascal, al quale ho voluto fare un tributo con la cover di UND1C1.
Era un segnale di speranza che certe cose fatte bene si potessero realizzare anche in Europa.
Certe cose della “nuova” trap o della UK drill per esempio a chi è più attento e ricerca la musica con costanza sono arrivate molto prima del boom della “wave” italiana.
È stata dura lavorare al disco con i vari lockdown? Ma soprattutto, quando si sbloccherà la situazione, porterai live il tuo album? Noi non vediamo l’ora di sentire un po’ di vero rap dal vivo!
Io avevo chiuso il disco prima del primo lockdown, poi trovandomi in questa situazione da marzo a giugno stando chiuso in casa ho prodotto svariati Freestyle per IG e facendo beats tutti giorni ho fatto anche 3 pezzi che sono andati a sostituirne 3 nella precedente tracklist.
John White è uno di questi, gli altri due non li svelo, lo lascio capire a chi leggerà questa intervista e lo ascolterà.
Per quanto riguarda i concerti riesco a dirti solo che per capire questo disco al 100% lo si dovrebbe sentire anche live, perché ho sempre voluto differenziare le cose fatte dal vivo ai dischi, è la matrice del rap, ho già in mente come fare certe cose, sarebbe un sogno e spero con tutto me stesso di poterlo realizzare.
Facciamo tutti gli scongiuri del caso.
C’è qualcuno a cui vorresti dedicare UND1C1?
A mia madre, a mio fratello, alla mia compagna che sopporta tutto lo stress e i miei momenti no quotidianamente.
E a me stesso.
Grazie a te e tutta la redazione di Exclusive Magazine.
Intervista a cura di Sara De Lucia!