Più che una domanda è un’affermazione che purtroppo condividono moltissime persone, soprattutto “adulti”, persone che non ascoltano questa musica o che comunque non hanno nessuna voglia di provare a capire il fenomeno, il perché spopoli così tanto tra i giovani e il perché di certi stereotipi e di certe tematiche ricorrenti. Ma alla base di una critica costruttiva dovrebbe sempre esserci una certa conoscenza di base dell’argomento…
Di testi allusivi, provocanti e non certo educativi la musica italiana ne è piena, compresa quella definita d’autore. Si grida allo scandalo per lo squallore stampato sulla bocca delle nuove generazioni dimenticandosi di aver cantato a squarciagola (solo per fare qualche esempio): “Coca (cola) sì, coca (cola) che ti fa bene”, (Vasco Rossi, 1983) oppure “Dammi una lametta che mi taglio le vene” (Donatella Rettore, 1982) e “Violentami. Violentami sul metrò” (Jo Squillo, 1981).
Gli artisti trap non fanno altro che comunicare con il proprio pubblico di riferimento utilizzando un linguaggio che entrambi conoscono al meglio. La realtà che ci sputano in faccia spesso non viene capita, o si fa finta di non capirla, perché fa paura e si vuole tenerla il più lontano possibile dalla propria quotidianità. Immagine o no, i trapper si presentano come personaggi di strada, come lo erano anche i rapper negli anni ’90, e parte del loro successo è dovuta proprio a questo. La droga nella musica c’è sempre stata, soprattutto nel rock ad esempio, dove ha caratterizzato i testi e le vite di tanti tra i suoi principali esponenti: Heroin dei Velvet Underground non parlava di Giovanna D’Arco, così come la “Coca cola” di Vasco sottintende ben altro che la nota bevanda gasata…
Il vero trapper è un personaggio sicuro di sé. Non ha alcun timore di salire su un palco. È a suo agio in ogni contesto, “sfacciato” e pronto a tenere botta. La musica di questi ragazzi è la perfetta fotografia del disagio sociale contemporaneo, che a dire il vero riguarda tutti noi, nessuno escluso. La trap usa parole che servono a sottolineare il vuoto, la mancanza di tempo e la superficialità del mondo in cui queste stesse canzoni vengono ascoltate a tutto volume pur di evitare di parlarsi. È semplicemente il frutto dei tempi che corrono, in cui le apparenze dominano gli interessi dei più giovani. C’è stato un tempo infatti in cui il mito del “giovane che ce l’ha fatta da solo” poteva essere Steve Jobs, mentre oggi è più probabile che sia Chiara Ferragni. Ma è proprio qui che entra in gioco lo spirito critico di ognuno. Sta sempre agli occhi di chi guarda, o alle orecchie di chi ascolta, capire esattamente chi c’è dall’altra parte, il contesto in cui si muove e qual è il messaggio che intende veicolarci. Che il messaggio sia giusto o sbagliato sta a noi stabilirlo. Ciò che è negativo, se siamo in grado di comprenderlo davvero, ci è utile per migliorare. Sia nel personale che nel collettivo. E la musica in questo è da sempre uno strumento importantissimo, perché all’interno di un contesto sociale non fa altro che riflettere quello che siamo, nel bene e nel male. Ma siamo ancora in grado di guardarci allo specchio?
Articolo a cura di Domenico Scala!