Dopo alcuni mesi di silenzio Nashley è tornato, stavolta con un singolo che avvia un progetto sempre più maturo e solido, lontano dalla trap degli esordi. Giovane e Triste, questo il titolo del pezzo, è un’intensa cavalcata urban pop dalle venature emo, in cui tra affilate chitarre, autotune ben calibrato e beat di stampo rock l’artista vicentino si confronta con le paure e le ansie di una generazione.
Il faro è Kurt Cobain, figura di impatto e controversa, descritta con vividezza, come simbolo di una vita da rockstar tormentata a cui Nashely a si sente metaforicamente affine. È evidente fin dal primo secondo la crescente evoluzione iniziata con l’EP dello scorso anno, tematicamente più profondo e personale rispetto ai tempi della Sugo Gang.
Il cantante, infatti, dopo aver coltivato in tenera età la passione per la scrittura cimentandosi in poesie e testi, ha fatto parte del collettivo della sua città, collaborando con alcuni dei nomi più in vista della scena. Ora è però il momento di un nuovo percorso, arricchito da un immaginario visivo ricco di romanticismo drammatico, grazie agli scatti di Theo Soyez.
Abbiamo così fatto quattro chiacchiere con lui per scoprire di più sul pezzo e sulle mosse future: ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Nashley, come è nato questo pezzo? Da che sensazioni è scaturito?
Il pezzo è nato in modo molto spontaneo, è uno dei quei pezzi non pensati, come se fosse già scritto nella mia testa. Sicuramente il periodo ha facilitato molto, non era uno dei momenti migliori della mia vita e avevo molto da dire.
Credi che i tratti da te descritti siano parte preponderante della quotidianità dei giovani di oggi?
Sicuramente sì. Uno dei miei obbiettivi è sempre usare termini e immagini semplici, in modo che l’ascoltatore (giovane o non) riesca in qualche modo ad immedesimarsi in ciò che dico. Chiunque può trovarsi in almeno una frase di Giovane e triste.
Quanto ha influito questo ultimo difficile anno nell’umore complessivo della tua generazione?
Credo che il Covid abbia scoraggiato molto tutti. I giovani sono il futuro, e al momento il futuro prossimo purtroppo è quello che è. Abbiamo tutti perso quell’entusiasmo della vita, speriamo torni tutto com’era prima al più presto.
Cosa rappresenta per te Kurt Cobain?
Kurt Cobain per me è, oltre che un Dio della musica, una grande immagine metaforica.
Credo che in Kurt Cobain ci si possano ritrovare migliaia di persone: tristezza, insoddisfazione, apatia e altre sono sensazione che, purtroppo, molto giovani provano durante l’adolescenza e non. Sono cose concrete, è inutile chiudere gli occhi per fingere di non vedere.
Come ci hai lavorato a livello di produzione?
La produzione è stata la fase più lunga. Per chi se ne intende un po’ di beat, dico solo che il brano ha circa 70 tracce di strumentale: chitarre, violini, contrabbassi, non cori, batterie ecc.
È stata credo la produzione più difficile che ho mai avuto tra le mani, ma anche la più soddisfacente
Raccontaci qualcosa in più sulla cover e sull’artwork.
Volevamo dare l’idea di “Triste” con un’immagine molto stile John Lennon. Vestito completamente bianco, fiorellino sul petto, natura morta, colori spenti. È stato un lampo di genio, e il fato ha voluto che piovesse, elemento a cui tenevamo molto.
Il video cosa racconta? È molto potente come immaginario.
Il video rispecchia il mood malinconico della canzone. È stato girato in una stanza d’hotel e in una Milano grigia in un giorno di pioggia. C’è una persona che non mi calcola più, che chiamo e non risponde, la cerco e non la trovo, fino a che la storia sembra chiudersi nel momento in cui scendo dalla macchina e vado verso la fermata dell’autobus, ma non arriva neanche quello e quindi vado via da solo. Il tutto racconta l’attesa di qualcosa che in realtà non arriverà mai.
Quanto senti di essere maturato rispetto agli esordi?
Moltissimo. I testi li sento più maturi, la scrittura mi viene molto più naturale, le produzioni sono molto più “suonate” con strumenti veri e con molti meno vst. Sono cresciuto molto.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo futuro?
Un 2021 pieno di sorprese, e sicuramente un gran bel disco. Il disco della mia vita, probabilmente.
Di Filippo Duò
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