È strano a dirsi ma uno dei fenomeni musicali più importanti degli ultimi anni in Italia forse non riguarda la musica: con la creazione della nuova scena cantautoriale italiana il termine indie ha assunto accezioni sempre più estese fino a comprendere, per assoluto paradosso, anche prodotti distribuiti da major discografiche. La questione è piuttosto semplice ma anche interessante e va analizzata proprio a partire dalla storia di questa ondata.
Alla base di più altisonanti prodotti commerciali ci sono sempre prodotti che raggiungono un pubblico minore ma che, a disparità di numeri, sono comunque più influenti: il mercato indipendente è sempre stato collegato in qualche modo all’underground, frutto di circuiti lontani da industriali processi discografici e di un gusto sincero per il do it yourself. Ed è così per tutti i primi 2000 con una scena indipendente che si distacca in maniera sostanziale dai prodotti propinati dal pop. C’è una differenza sostanziale però: in questo periodo chi in qualche modo usufruiva del termine indie era più informato sulle sue radici. Era ben chiaro che l’indie non fosse un genere ma una corrente, che si trattasse di indie rock o indie pop: il termine non designava la musica né il pubblico ma semplicemente l’attitudine distributiva, al massimo quella compositiva.
Ad essere seguite dal pubblico erano poi direttamente le label coinvolti, avendo un ventaglio di nomi ben più ampio: il termine non era masticato poi da tutti e aveva un’accezione diversa dalla classificazione musicale. 42 Records e La Tempesta Dischi per esempio sono due realtà storiche che nel tempo hanno raccolto alcuni dei nomi più importanti ascrivibili alla corrente ed in particolare alla sua prima ondata: I Cani, Tre Allegri Ragazzi Morti, Zen Circus, Sick Tamburo e gli esempi possono essere tanti.
La questione cambia in realtà soprattutto a metà del decennio scorso quando nuovi esponenti del cantautorato e nuove band tendenti in sostanza all’alt-rock arrivano alle masse: questi personaggi in un primo momento erano anch’essi ascrivibili alla corrente, per motivi sia musicali che per la distribuzione totalmente indipendente. Di riflesso quando alcuni di questi nomi hanno raggiunto il grande pubblico quest’ultimo, trovatosi d’avanti a un prodotto ben diverso dal classico pop italiano radiofonico, ha erroneamente raggruppato questi nomi come “indie” alla stregua di un genere musicale. Diversi i motivi per cui però questo non può sussistere, di base quello per cui molti nomi si approcciano alla musica in maniera diversa. Il termine indie però piace tanto agli italiani e con il tempo si è ulteriormente diffuso fino a diventare, in sostanza, sinonimo di “alternativo”: il primo da citare potrebbe essere Calcutta e dietro di lui Bomba Dischi che in questo passaggio hanno avuto un ruolo fondamentale. Arrivato con un attitudine alternativa nei cuori di prima-generalisti universitari ha ravvivato la questione cantautorato in Italia riprendendo dagli anni ’70.
E se si fosse fermata qui la situazione poteva non essere un controsenso in termini: l’indie pop è un’etichetta che gli si addice. Con il passare degli anni, principalmente seconda metà degli anni ’10, nuovi nomi ben più lontani dalla corrente hanno iniziato ad essere chiamati con questo termine: qui il termine indie diventa un grosso calderone in cui riunire tutti i nuovi nomi della scena pop, con un’attitudine diversa rispetto al passato. Da movimento underground molto seguito finisce per perdere un po’ delle sue caratteristiche: palcoscenici altisonanti, passaggi radiofonici, dati di vendita importanti. Non spariamo sulla croce rossa però; in realtà bisogna dire che perde le sue caratteristiche se messe in relazione alle precedenti della scena italiana dei primi 2000 o addirittura fine ’90.
Indie diventa ora un termine ombrello per classificare figure musicali anche molto distanti tra di loro ma che come vedremo tra poco hanno una sola forza caratteristica in comune. Ci stacchiamo sempre di più da dove siamo partiti per arrivare ai nomi che ad oggi rappresentano per l’ascoltatore medio l’essenza del termine indie e lo facciamo tramite alcuni dischi fondamentali per la faccenda: il già citato Calcutta con Mainstream, Polaroid di Carl Brave e Franco126, Regardez Moi di Frah Quintale, Superbattito di Gazzelle, Faccio Un Casino di Coez. Sono questi i nomi che hanno cambiato radicalmente l’accezione di indie, spesso contro la loro volontà. Metà di loro tra l’altro viene dal rap ed in generale tutti preferirebbero o l’accomodante “cantautorato” o il più generale “pop”: sentendo spesso le loro interviste alcuni sono direttamente restii al termine indie.
Almeno in un primo momento tutti questi nomi, con affiliati e derivati, appartengono comunque ad un circuito indipendente che però presto tradiscono in favore della grande distribuzione: spesso con un contratto a metà tra major e label, le cifre spese a livello di promozione e la capillarità distributiva dei prodotti tradiscono l’indipendenza stessa dei prodotti. Ma niente da fare, ormai il dado è tratto: se per il pubblico l’indie è così, così rimarrà almeno per i prossimi anni. Ma perché se lo osteggiano i diretti presi in considerazione, se non rende onore ai “veri artisti indipendenti”, se ci sono contratti con multinazionali il termine ha trovato così tanto vita fertile?
In una delle ultime interviste di DownWithBassi da Bassi Maestro erano ospiti Frah Quintale e il team Undamento, anche questa tra le principali label di questa ondata: è lui che c’illumina dicendo che indie, per come lo si intende oggi in Italia, non è una classificazione di musica ma di pubblico. È questo il punto chiave di tutto questo discorso: gli artisti indie non sono tanto uniti dal punto di vista musicale, sono uniti invece nelle playlist di chi gli ascolta. Il termine poi è sicuramente vendibile e più particolare di altri, la stessa industria quindi ha assecondato il pubblico nella diffusione di questo nome. E se non ci credete ecco alcuni esempi.
Nelle playlist editoriali di Spotify “Indie Italia” e “Indie Triste” troviamo quello che stavamo cercando. Gazzelle, Franco126, Ariete, Pinguini Tattici Nucleari, Calcutta, Psicologi, Carl Brave, Colapesce, Aiello, Frah Quintale, Willie Peyote, Fulminacci, Galeffi, Canova, Cimini, Rovere, La Rappresentante Di Lista, Margherita Vicario, I Segreti, Bnkr44, Chiello. Quale altro è il collegamento tra tutti questi nomi se non solo ed esclusivamente il pubblico? Certo, ci potranno anche essere alcuni affinità musicali ma in molti casi siamo ai poli opposti. Ecco svelato il mistero: il termine indie in Italia e negli ultimi anni se l’è scelto il pubblico pur tradendo il suo significato originale, l’ha rinforzato l’industria e per chi lo vuole respingere ormai è troppo tardi. Ma alle fine possiamo anche reggere il gioco, nulla di tragico insomma.