Vi volevamo chiedere innanzitutto come è nato questo progetto dal sapore internazionale chiamato “Open”?
Ciao, “Open” è il nuovo disco di Dog Byron: è una raccolta di canzoni scritte e registrate tra agosto 2019 e ottobre 2021 a Roma, Berlino e Amburgo. Si tratta di un periodo di tempo relativamente lungo e di luoghi artisticamente molto diversi tra loro. Questo a mio parere ha reso il disco molto eterogeneo e ha permesso di concentrarci di volta in volta sulla realizzazione di ogni singola canzone dall’inizio alla fine del processo produttivo. In generale il disco è frutto di esperienze, incontri e collaborazioni internazionali maturate nel corso degli anni di tour in Europa.
Come mai questa scelta di sperimentare sonorità molto più leggere rispetto al recente passato?
Non si tratta di una scelta specifica ma di un’evoluzione avvenuta in modo naturale. Ci siamo ritrovati nel corso del tempo a scrivere cose diverse e a produrre in modo diverso dal passato senza quasi rendercene conto, senza aver “deciso” un cambio di passo e in totale libertà artistica.
Uno dei pezzi più belli dell’album a nostro parere è sicuramente “Rock’n Roll Show”. A livello di sonorità vi siete ispirati a qualche artista in particolare? E in generale cosa intendete trasmettere attraverso questa traccia?
“Rock ‘n’ Roll Show” è “prima” in molte cose: dal punto di vista produttivo ha una storia molto lunga; è infatti il primo brano del disco ad essere stato “appuntato” nel 2016 per poi prendere una forma nei nostri tour del 2018-2019 ed essere suonato full band con un sound molto più indie-pop/rock ‘n’ roll appunto (con un’esplosione finale, la mia voce più aggressiva, ecc). Quando ad agosto 2019 sono entrato in studio avevo esigenza di registrare proprio questa per prima e ho deciso di ritornare alla sua versione originaria, minimale e acustica, così come era nata. Mi sembrava che questo modo d’ interpretarla rispettasse al meglio il testo, l’immagine da cui è stata ispirata: racconta infatti del giorno in cui è nata la mia prima figlia ripensato e rivissuto molti anni dopo. Infine abbiamo deciso d’inserirla come prima traccia del disco. Per questa canzone non mi sono ispirato direttamente a nessun artista in particolare, ma dopo aver riascoltato il master finale, pensando alle tecniche produttive e al risultato sonoro mi è venuto in mente il cantautore inglese Benjamin Francis Leftwich.
In “The end of claim” abbiamo trovato un’atmosfera molto dark e introspettiva. Qual è precisamente il significato di questa canzone? E ci potreste svelare anche qualche retroscena sulla produzione?
The End Claim è stata scritta durante una session berlinese a settembre 2019: Marco (De Ritis), caro amico, bassista, produttore e cofondatore del progetto aveva messo giù una base elettronica intorno ad un paio di accordi; io ero sul divano e d’un tratto ho preso degli appunti che riportavano frasi apparentemente scollegate tra loro. Mi sono chiesto: “Peter Murphy come canterebbe questa roba su questa base?” Ed ho cominciato ad improvvisare il testo sulla base. Alla fine della registrazione mi sembrava che tutto quadrasse e che avesse senso. Dopo qualche mese l’ho cantata di nuovo, questa volta in modo più dolce; Marco ha registrato un basso deciso e un piano ostinato e poi le abbiamo dato un titolo definitivo: The End Claim.
Perché avete deciso di chiamarvi Dog Byron? E in generale potreste raccontarci un po’ le origini del vostro gruppo?
Il nome è nato a San Pietroburgo: eravamo in viaggio in Russia con Marco, e una notte ci ritrovammo ad una festa. Sotto la spinta del padrone di casa, il siberiano Andrey, cominciammo a suonare qualcuno dei brani di questo nascente progetto ancora senza nome; il pubblico era entusiasta, felice; ad un tratto un piccolo inglese timido si avvicina, si presenta e ci chiede di potersi unire per suonare e noi lo accogliamo con piacere. Ma il giovane è stonato, così stonato che raggela la festa lasciando tutti in silenzio.
Il giorno dopo a passeggio sulla Prospettiva Nevskij decidiamo di dedicare il nome della nostra nascente band all’incontro con questo giovane di nome Byron.
Tra le vostre caratteristiche spicca sicuramente il fatto di cantare in inglese. Come mai quindi questa scelta? E per il futuro escludete a priori di potervi esibire in lingua italiana o lasciamo aperta anche questa possibilità?
Pur vantando origini italiche l’ispirazione della nostra musica è senz’altro anglofona; come musicisti ci siamo sempre mossi in ambito internazionale e la scrittura si è istintivamente sviluppata in inglese. Non escludo affatto di scrivere e cantare in italiano, ma ancora prima ho in progetto di scrivere qualcosa in francese e romano.
Che ne pensate dell’attuale scena rock italiana? Secondo voi l’exploit dei Maneskin potrebbe essere da traino per tutto il movimento?
I Maneskin hanno senza alcun dubbio sancito il ritorno imponente delle chitarre nella musica italiana ed ora più che mai c’è un grande interesse internazionale per la nostra musica. In generale credo che in questo momento in Italia ci sia grande fermento delle scene, dove gruppi e artisti tentano di ritrovare nuovo spazio sia live che discografico dopo il reset del sistema causato dalla pandemia.
Visto che nel nostro magazine trattiamo soprattutto musica Hip-hop, vi piacerebbe in futuro collaborare con rapper italiani o magari anche internazionali?
Assolutamente sì: seguo e amo da sempre Rap e Hip Hop. Abbiamo già in programma delle collaborazioni di cui per ora non sveliamo nulla, ma sarete i primi ad averne notizia.
Vi ringraziamo per la disponibilità per questa intervista e vi invitiamo a concludere salutando chi più ritenete opportuno.
Grazie tante a voi per lo spazio e il tempo che ci avete concesso. Salutiamo voi nella speranza di risentirci prestissimo.
Intervista a cura di Giovanni Paciotta!