Ciao Kimono, ti vedo collegata dalla tua cameretta, dove ti trovi al momento?
Sono a Milano, ormai ci abito da tre anni, praticamente dopo X-Factor mi sono trasferita. Questo è lo studio che abbiamo creato io e Maestro in casa, è stato costruito da noi, prima era tutta una stanza grande, noi abbiamo fatto proprio i muri, tutto da soli. In una settimana abbiamo tirato su questo studio fai da te in casa.
Tu però sei marchigiana, di Civitanova Marche, come è stato andare a vivere in una grande città come Milano?
Beh, diciamo che appena arrivata a Milano ero super felice perché vengo da una città di provincia più piccolina in cui naturalmente anche la mentalità era un po’ chiusa dal punto di vista musicale. Ho avuto invece la fortuna di avere due genitori che mi hanno sempre sostenuto, sempre spinta a credere nei miei sogni, a non stare ad ascoltare quello che dicono gli altri ma seguire semplicemente quello che sentivo.
Appena mi sono trasferita, mi sono ritrovata in questa casa piena di artisti. La cosa bella è stata che ho passato la quarantena in questa nuova famiglia che si è creata, piena di ragazzi. C’è chi fa musica, chi disegna, chi costruisce; quindi, siamo una casa d’arte e durante tutta la quarantena abbiamo sempre fatto musica, ci siamo sempre stati tutti, insieme, uniti.
Finalmente mi sono ritrovata in un posto con delle persone che condividevano il mio stesso sogno, il mio stesso obiettivo, quindi questo è stato sicuramente bellissimo, uno dei ricordi più belli che ho appena arrivata.
Come hai vissuto il periodo della quarantena, dopo aver vissuto già per mesi in quella sorta di bolla che è X-Factor?
Sono stati due anni di chiusura che però sono serviti moltissimo, io perlomeno ne ho approfittato per lavorare su me stessa che è una cosa che consiglio in generale a tutti, non dal punto di vista esteriore ma proprio dal punto di vista interiore, imparare ad osservarsi, imparare ad amarsi, imparare un po’ a lottare con questa mente che ci tiene sempre in ostaggio, da qui nasce il mio ultimo brano. Io ho la fortuna di poter esprimere quello che sento tramite la musica, magari sto male, ho dei pensieri, posso esprimerlo e buttarlo fuori mentre molte persone non hanno la mia stessa possibilità. La musica ha questo grande potere curativo, questo potere di farci sentire tutti connessi, questo potere di unità; quindi, spero con le mie canzoni di poter far sentire meglio qualcuno. In “Tempesta” avevo osservato la sofferenza psicologica più dal punto di vista del singolo, relativamente agli attacchi di panico che ho vissuto anche io in prima persona; invece, in “In ostaggio” si osserva più la sofferenza psicologica nella relazione. Il brano è un po’ un dialogo e sembra parlare di una relazione tormentata che in realtà non è una relazione con una persona. Poi ognuno la può interpretare a seconda della sua esperienza, ma nel mio caso questo è un dialogo che ho con la mia mente di cui mi sento ostaggio. C’è questa mente che ci riempie di pensieri e distorce la realtà mettendoci dei filtri, che sono dati dalle nostre esperienze di vita e che non ci permettono di vedere la realtà per quella che è. È sempre distorta, non è mai pulita e io devo riuscire a stare con quello che c’è nonostante la mente cerca di bombardarmi di pensieri.
Hai fatto X-Factor a 16 anni, quanto ti è pesato da un punto di vista psicologico un programma del genere a un’età così delicata?
Lì per lì ho vissuto l’esperienza in modo totalmente sereno, comunque era la mia prima esperienza in un programma televisivo e ho vissuto tutto con grande curiosità. Cercavo di imparare da ogni momento, per me nella musica non ci può essere competizione perché l’arte è fatta per rendere ognuno libero di esprimere sé stesso in qualsiasi modo, nessuno può giudicarti e quindi in generale l’ho vissuta molto serenamente. È il post che è stato un po’ traumatico, perché appena uscita tutti mi promettevano cose, stava per iniziare anche il tour e invece arriva il covid e si blocca tutto, a 16 anni appena trasferita a Milano.
Poi le persone dopo X-Factor mi hanno un po’ classificato come la ragazzina, ma naturalmente lì ero così perché avevo 16 anni, ero una bambina semplice, sono una ragazza semplice, ma sono anche un essere umano. Quando ho fatto ad esempio un disco più dance, “DANCE MANIA: Stereo Love” il mio primo EP appunto, molte persone hanno detto che ero stata obbligata dalla casa discografica a cambiare, ma in realtà sono un essere umano e naturalmente non posso rimanere una bambina per sempre, anche io cresco. Sto diventando una donna e mi sento libera di poter sperimentare senza nessun limite.
A X-Factor ti avevano presentato col tuo nome reale, sei più Sofia o più Kimono?
L’anno prima avevo partecipato a Sanremo Young già come Kimono poi ad X-Factor per rendere tutti i partecipanti allo stesso livello hanno deciso di togliere il nome d’arte e quindi da lì la gente ha cominciato a chiamarmi un po’ Sofia un po’ Kimono, si era creata questa confusione. Per me è indifferente, io sono me stessa, come mi chiami non mi interessa ma ho deciso di ritornare Kimono perché è un nome che è nato dalla mia grande passione per il karate. Il termine kimono significa “cosa da indossare” e spero che la mia musica sia quel vestito in cui tutti si possano riconoscere, che tutti possono indossare.
Come tanti altri cantanti sei appassionata di un’arte marziale, secondo te la disciplina, che poi è quello che contraddistingue lo sport, soprattutto le arti marziali, può influenzare la creatività?
A me è servito molto proprio in generale nella vita. Da piccola era una bambina molto più timida e introversa e lo sport mi ha dato un po’ più consapevolezza del mio corpo, mi ha fatto essere più determinata. Poi il karate è un po’ una scuola, un’arte che ti dà anche dei valori come il rispetto per l’altro perché comunque non si combatte per fare del male, è un gioco.
Hai detto che i tuoi genitori ti hanno molto supportato, la passione per la musica ti è stata trasmessa dalla tua famiglia?
Io dico sempre che la musica, avessi avuto dei genitori musicisti o no, sarebbe comunque stata nella mia vita. Ho avuto la fortuna di avere mio papà pianista, quindi è nato tutto da questo pianoforte a mezza coda che avevamo nel salone, in cui lui suonava tutti i giorni e io ero lì sotto e imparavo a memoria tutte le melodie. A tre anni mi ero imparata a memoria una canzone che si chiamava “Marilù” di Nicola Arigliano, una canzone molto vecchia e durante un concerto ho detto a mio papà se potevo cantarla con lui e da lì ha visto questa mia predisposizione per il canto e ho cominciato a fare lezioni di canto, poi di chitarra, di pianoforte. Io faccio musica per necessità, essendo stata una bambina molto timida, era il mio modo per sentirmi finalmente libera di esprimermi, dato che non riuscivo con le parole con la musica invece finalmente sentivo che era il mio momento in cui potevo sfogarmi.
Prima di salutarti volevo chiederti se hai in programma qualche concerto.
Si, sto lavorando a questo nuovo progetto acustico che è nato quest’estate. Sono andata in un posto in montagna bellissimo e mi sono messa con la chitarra a scrivere una decina di brani proprio in acustico. Mi piacerebbe portare questo progetto più intimo in cui mi metto un po’ più a nudo nei teatri e ritrovare i miei fan in un posto privo di filtri in cui possiamo tutti riconoscerci.
Intervista a cura di Giuditta Cignitti!