Il loro canale YouTube conta più di mezzo milione di iscritti e nei loro programmi opsitano le più svariate personalità della scena rap e dell’intrattenimento, Fada e Barlow si sono costruiti una carriera facendo le rap reaction, video in cui immortalano la loro prima reazione all’ascolto di un album o una canzone appena uscita. Essendo figli degli anni Ottanta hanno scelto il nome Arcade Boyz in omaggio all’adolescenza passata nelle sale giochi, gli arcade sono i videogiochi cabinati appunto. Entrambi novaresi e ultratrentenni, si approcciano ai giovani che li seguono un po’ da fratelli maggiori, col piglio di chi vuole stimolare gli animi abbattuti o annoiati. Il loro modo di fare satira gli è costato più di qualche diffida ma forse è proprio per questo che da sette anni vengono seguiti con attenzione dagli appassionati del rap ma anche dagli addetti ai lavori.
Barlow ci ha raccontato cosa c’è dietro questo progetto.
Come avete cominciato questo percorso nel web?
In realtà per caso, c’era un ragazzo che faceva le rap reaction e gli serviva una location. Fada, aveva un negozio di computer, riparava pc e cellulari e io per una serie di sfortunati eventi ero rimasto senza casa; quindi, dormivo nello sgabuzzino del suo negozio. Quando poi ha cominciato a fare i video c’eravamo anche noi e da lì è nato tutto.
Quand’è che avete capito che poteva diventare un lavoro?
Quando il tipo dopo aver ricevuto il primo stipendio da YouTube ci ha offerto la pizza, allora ci siamo detti, ok proviamo e abbiamo iniziato a fare le reaction parallelamente anche noi. Poi il ragazzo ha voluto staccarsi perché diceva che gli rovinavamo l’immagine, così abbiamo continuato da soli.
Se non ci fosse stata questa opportunità, come sarebbe stata la tua vita?
Vivevo senza uno scopo, avevo appena fallito la terza impresa della mia vita, ero pieno di debiti perché avevo un circolo e non riuscivo a pagare neanche le spese e le tasse, vivevo alla giornata. Stavo pensando di andare in legione straniera, avevo iniziato anche a studiare il francese, Novara non offriva tante opportunità lavorative quindi non lo so cosa avrei fatto.
Chi è il vostro pubblico?
Principalmente ragazzi dai 15 ai 27 anni. All’inizio ci seguivano per ridere perché abbiamo cominciato esasperando i lati del nostro carattere, era un programma veramente sconcio, becero, ma facevamo anche delle analisi corrette; infatti, il tempo ci ha dato ragione. Il pubblico però cambia, ogni due anni c’è una generazione nuova e devi capire come comunicare. È veramente un lavoro che impari sul campo, dai commenti, si potrebbe fare anche un’analisi sull’analfabetismo funzionale che c’è anche tra gli universitari, che non capiscono un testo parlato figuriamoci uno scritto. È allarmante pensare che saranno la nostra futura classe dirigente, però non tutti gli universitari sono così, per carità.
Quali sono le problematiche che ci sono adesso fra i giovani?
Sono le solite, solo che adesso sono molto più enfatizzate dai social e da un lato è un bene perché così la gente non si sente più sola col proprio dramma, dall’altro ci sono tutte queste nuove sensibilità che vanno a creare dei problemi che prima non esistevano e secondo me non hanno senso di esistere. Siamo una società che non tollera nessun atto di ribellione e quindi lo taccia come atto violento, mentre le vittime vengono premiate. Chi piange di più ha una medaglia, quindi tante persone si vantano di avere una malattia più o meno diagnosticata come se fosse un valore aggiunto alla personalità. È dagli anni 90 che siamo tutti un po’ autistici, siamo cresciuti davanti ai videogiochi e alla televisione, figurati adesso con i social. Non è una malattia, sei solo normalmente ritardato, non c’è da vantarsi anzi dovresti cercare di fare qualcosa.
Uno dei vostri format è “Fallitones never die”, possiamo definirlo un contest per artisti emergenti?
Diciamo che è una vetrina che noi diamo ai ragazzi in modo gratuito, perché la facciamo su Twitch, tanti di questi poi sono stati contattati da etichette varie o per fare programmi in tv.
È un modo per supportare i ragazzi che nessuno supporta più, perché l’industria musicale è quello che è. L’avevamo chiamato così simpaticamente e fino a due anni fa piaceva, adesso le nuove generazioni hanno un problema con la parola e con il concetto di fallimento, perché pensano che se non fanno successo con la prima canzone hanno fallito. La vivono male quindi cambieremo nome.
Perché, chi sono i fallitones?
Era il nome che ci siamo dati io e Fada, siamo gente che ha fallito in tutto e comunque è ancora lì, alla fine la vita va avanti e fallire non è un dramma. Non bisogna diventare tutti Guè o Ronaldinho, si può anche avere una vita normale ed essere felici. Era anche un modo per prendere in giro questo mito della scalata sociale.
Quindi fate attività di scouting, le case discografiche invece?
Adesso puoi essere bravo quanto vuoi ma devi avere già i numeri affinché le case discografiche arrivino a proporti un contratto, però a quel punto io consiglio ai ragazzi di rimanere indipendenti perché vuol dire che sta già andando bene, ma capisco chi accetta. Si può sempre trovare il modo di fare le cose in maniera furba però, vedo gente che è riuscita a rimanere indipendente come Fedez o Ghali, che ha ancora la proprietà dei master dei suoi pezzi. Noi troviamo i talent ma poi ci vengono rubati, sarebbe bello avere un po’ di riconoscenza ogni tanto ma non c’è, lo facciamo perché siamo contenti di dare una mano ai ragazzi perché a noi non ha mai dato una mano nessuno e quindi va bene così.
I vostri studi sono a Novara, avete mai pensato di avvicinarvi a Milano?
Ci avevano proposto di andare a vivere a Milano con la casa pagata nel 2017, però significava che poi dovevi beccarti con gli artisti, andare agli aperitivi, alle serate, insomma fare il milanese, senza nulla togliere comunque a quell’ambiente che è anche divertente, però avremmo perso la nostra obiettività. Quando diventi troppo parte di un circuito poi non si riesce a fare un’analisi spassionata, poi non volevamo essere controllabili. Noi siamo indipendenti e siamo fieri di esserlo da sette anni, tanti youtuber che c’erano quando abbiamo iniziato noi sono spariti nel giro di due anni, noi invece un po’ perché siamo gli unici in Italia a fare una critica reale, un po’ perché ci rinnoviamo, un po’ perché sta faccia da culo piacerà a qualcuno, siamo ancora qua.
Qual è il prezzo di essere indipendenti?
Che in sette anni da youtuber con i nostri numeri dovevo essere ricco; invece, faccio ancora il pendolare su Trenitalia, quello è il prezzo, però c’è anche un prezzo che devi dare alla tua dignità. Noi abbiamo fatto la radio, avevamo un programma su Radio TRX, quella di Fabri Fibra, abbiamo fatto un po’ di televisione, siamo stati ospiti in prima serata nel programma musicale “All together now”, abbiamo fatto un sacco di collaborazioni, questi sono tutti riconoscimenti. Gli artisti che sono venuti da noi non erano pagati sono venuti per stima, da Rancore a Dolcenera, abbiamo anche interventi di Gerry Scotti sul nostro canale. Quindi da una parte ci sono i soldi facendo il buffone o la marionetta, dall’altra parte uno stipendio da operaio però le soddisfazioni e la dignità e con questo non voglio dire che io non faccia della roba più facile a volte o più cazzona. Se faccio il coglione ne sono cosciente ma il limite lo stabilisco io, non faccio il trash per accontentare un pubblico che poi il giorno dopo si trova un nuovo giocattolino e tu ti sei cacato la faccia per due settimane di notorietà.
Siete sempre molto schietti nei vostri video, come reagiscono gli artisti alle vostre critiche?
Il nostro è un linguaggio hip-hop, molto hard-core direi, è quello che usano gli stessi rapper però quando viene usato contro di loro piangono. Quando tratti le persone da tuo pari non è perché ti senti superiore, però ecco non vengo nemmeno a strapparmi i capelli sotto il palco per te, non lo facevo a 16 anni e di certo non lo faccio a 36. Se esiste gente che se la tira è perché esistono i leccaculo. Mi fa veramente strano poi quando gli artisti dicono qualunque cosa nelle canzoni, spacco uccido ammazzo scopo pippo faccio e poi quando dici tu una minchiata ti fanno cinque storie Instagram e ti mandano le diffide.
Ci sono stati invece degli scontri a lieto fine?
Si, con tante persone, anche quelle con cui all’inizio abbiamo litigato pesantemente proprio quasi da picchiarci. La cosa che ci fa più piacere è che due come noi che venivano dalla provincia e vivevano da emarginati, adesso lavorano con gli stessi artisti che quella gente che ci emarginava idolatra. Tanti vengono a casa nostra a mangiare e siamo in ottimi rapporti, ci becchiamo anche in giro a telecamere spente per berci una birra, quindi evidentemente avevamo ragione noi.
Per il lavoro che fai sei costantemente online, come mantieni la tua privacy?
Noi non siamo influencer, siamo youtuber. Abbiamo un programma su YouTube, se vado in vacanza stacco il cellulare. Non abbiamo mai usato Instagram come fanno gli influencer o come fanno i fenomeni da baraccone, per quello forse abbiamo un po’ poco seguito su Instagram. La vita privata se tu vuoi, puoi tenerla privata. Siamo abituati a vedere tutto di tutti, se io adesso mi metto a seguire una persona a caso anche non vip, io so dove abita, so di quanti metri quadri è casa sua, so come si chiama il bambino, so qual è il giocattolo preferito del bambino, so il bambino dove va a scuola. Potrei rapirgli il figlio. Io poi sono un po’ complottista, secondo me quando non riescono a spiarti in casa allora ti danno un cellulare in mano.
Cosa vi distingue dagli altri canali?
Diciamo sempre la verità anche quando è scomoda, la gente ci rompe il cazzo ma quando due o tre anni dopo si scopre che avevamo ragione, vengono a chiederci scusa. In un mondo di bugie da social siamo gli unici veri e la gente lo sa, anche quelli a cui stiamo sul cazzo ci seguono, perché comunque sanno che siamo obiettivi sulle cose. Se uno mi sta sul cazzo ma fa una roba bella lo dico. Poi siamo malati di musica, senza non riusciremmo proprio a vivere anche se non fossimo gli Arcade Boyz, io ho anche un gruppo irish-punk, gli Skin tu con cui faccio qualche data nei pub.
Come vedi gli Arcade Boyz nel prossimo futuro, cosa vi piacerebbe fare ancora?
A noi piacerebbe davvero fare scouting di lavoro, magari per le grandi case discografiche, così prendono qualcuno di bravo finalmente.
Intervista a cura di Giuditta Cignitti!