Con il suo stile inconfondibile e la capacità di spaziare tra vari generi musicali, Samurai Jay, all’anagrafe Gennaro Amatore, è uno degli artisti emergenti più interessanti della scena rap italiana. Classe ‘98 e originario di Napoli, Samurai Jay ha fatto parlare di sé grazie ad una serie di singoli di successo e collaborazioni di alto livello.
Il suo ultimo lavoro, “100mila”, è un potente banger che lo vede per la prima volta cimentarsi nel rap in dialetto napoletano.
Ciao Samurai Jay, grazie per essere qui. Partiamo subito dal tuo nuovo singolo “100mila”. Hai detto che è un ritorno a uno stile più crudo e diretto. Cosa ti ha spinto a fare questo passo e come pensi che questo brano si inserisce nel tuo percorso musicale?
Si, “100mila”è sicuramente un brano crudo, diretto, molto rap. Ciò che mi ha spinto a fare questo brano è stata la voglia di fare un esercizio di stile in un genere che mi è sempre appartenuto. E’ qualche anno che mi sto cimentando in mondi musicali diversi perchè vengo da un ampissimo background, sono un polistrumentista, faccio musica di tutti i tipi quindi mi piace sperimentare. Era tanto che non facevo un brano come questo ed è ciò che mi ha spinto, la voglia di rappare, per me questo era il momento adatto, ne sentivo il bisogno, è stata una scelta istintiva.
In “100mila” ti cimenti per la prima volta nel rap in napoletano. E’ stata una scelta naturale per te, vista la tua provenienza, o c’è stato un momento preciso in cui hai sentito il bisogno di riscoprire le tue radici linguistiche nel rap?
E’ stata una scelta naturale ma dopo anni di tentativi, il mio problema con il dialetto napoletano nasceva da un limite che mi ero autoimposto perchè mi sentivo non molto credibile. Ho dovuto sperimentare per trovare la mia dimensione nel napoletano e una volta che ci sono arrivato, ho iniziato a usarlo. Questo sarà solo il primo brano, sentirete sicuramente altre cose in napoletano in futuro.
Inoltre, ci tenevo a ringraziare la mia città e a dare ancora di più un senso di appartenenza alla città di Napoli, glielo devo.
Hai già collaborato con artisti del calibro di Geolier, Boro Boro, e persino Elettra Lamborghini. Come vivi queste collaborazioni con nomi così affermati? Ti senti mai in competizione o sei più concentrato sulla crescita personale?
Secondo me alla base di qualsiasi passo un artista faccia c’è il desiderio di una crescita personale o almeno è così per me. Voglio imparare e fare sempre meglio. Per quanto riguarda la competizione l’ho sentita nel caso di collaborazioni con cui ho un rapporto di grande amicizia, competizione intesa come spronarsi a vicenda. Per le altre invece, dove magari c’era solo una conoscenza meno approfondita, quello che pensavo era: “Chissà cos’ha da dire un artista di questo calibro su questo pezzo?”. Per me la scelta dei feat non è mai stata fatta a tavolino, ho sempre pensato al brano, alle sonorità, al messaggio che volevo lanciare, mi piace azzardare.
Uno dei punti forti della tua carriera è la tua capacità di spaziare tra diversi generi musicali. Tuttavia, questo può anche rischiare di creare confusione sull’identità artistica. Come mantieni il giusto equilibrio tra sperimentazione e coerenza artistica?
E’ un’arma a doppio taglio, ho sempre pensato che concentrandosi su un genere solo e continuando su quella strada si riescano a raggiungere prima dei risultati però alla lunga credo che sperimentare paghi di più perchè impari ad adattarti a qualunque cosa, conosci la musica a tutto tondo. Io amo suonare, amo produrre, amo stare in studio. L’equilibrio lo mantengo restando me stesso in qualunque cosa io faccia, è lo stesso discorso del napoletano, lo faccio quando riesco a creare la mia dimensione altrimenti evito. Io voglio che i brani mi gasino perchè se fai una cosa studiata la gente se ne accorge, le persone vogliono da te la tua essenza, che tu sia fiero di quello che fai e a quel punto il genere non importa, oggi è tutto estremamente contaminato.
La tua musica ha una forte base di autenticità, ma molti artisti si trovano a dover seguire le tendenze per rimanere rilevanti. Quanto riesci ad essere fedele a te stesso in un’industria che spinge verso la commercializzazione?
Io rimango fedele a me stesso, non mi interessa della commercializzazione o di quello che va di moda per il semplice fatto che per me l’unica cosa importante è fare musica che abbia una coerenza, che sia fruibile per le persone. Se sei autentico sei attuale sempre.
Parliamo del brano “Gang”, che è stato un vero punto di svolta nella tua carriera, anche certificato disco d’oro. Guardando indietro, come pensi che quel singolo abbia influenzato il tuo percorso e la percezione che il pubblico ha di te?
Quel brano ha cambiato tutto perchè mi ha portato dalla dimensione locale della Campania a fare numerosi sold out anche nel nord Italia. Purtroppo poi è arrivata la pandemia, avevo moltissime date da fare che poi sono state annullate. Non ho potuto godere appieno del potenziale di quel brano, è stato il primo che mi ha portato ad essere un artista nazionale, ci sono molto legato e gli devo tanto.
“Lacrime” è stato il tuo primo album ufficiale. Ora che sono passati alcuni anni, come vedi quel progetto rispetto alla tua musica attuale? C’è qualcosa che cambieresti o su cui lavoreresti diversamente?
La cosa che adoro di “Lacrime” è che io l’ho odiato tantissimo sempre per via della pandemia. Il disco è uscito il giorno in cui è iniziato il lockdown in tutta Italia, per me è stato traumatico, non ho potuto fare live o instore per promuoverlo. Quello che mi piace tanto è che l’ho riscoperto nel tempo e lo stesso sta succedendo alle persone. Gran parte del mio pubblico è affezionatissimo a delle canzoni a cui mai avrei pensato, questo mi rende molto fiero. Avendo lavorato per metà a casa se devo pensarci oggi cambierei la qualità di alcuni brani che magari è inferiore rispetto a quelli registrati in studio con Dat Boi Dee.
Quali sono i prossimi passi per Samurai Jay? Hai un obiettivo particolare o un sogno che non hai ancora realizzato nella tua carriera?
Il prossimo passo è sicuramente un nuovo disco ma non posso dirvi altro, obbiettivi e sogni sono tantissimi, preferisco parlarne una volta che li avrò raggiunti.
Un’ultima domanda: se dovessi descrivere il Samurai Jay di oggi in una parola o in una frase, cosa diresti?
In una parola mi descriverei consapevole e se posso usarne un’altra affamato. Soprattutto la consapevolezza è una cosa che mi è mancata per anni, sia per quello che è successo nel mondo sia per tanti disequilibri che ho avuto. Sono riuscito a guarire da certe ferite che mi portavo dietro, ora so che si può cadere tante volte ma ho imparato come rialzarmi e ad innamorarmi delle difficoltà.
Intervista a cura di Eva Berretta!