Quando Achille Lauro ha fatto la sua comparsa nel mondo discografico, aveva già messo tutti in guardia sulla posizione che avrebbe preso nel tempo, “Achille Idol Immortale”.L’album, una sorta di Vangelo di strada scritto sulle proprie esperienze di vita, gli garantisce subito uno spazio nella scena rap underground, grazie soprattutto all’apprezzamento mostrato da rapper più autorevoli e longevi come Noyz Narcos, Coez o Marracash che duettano con lui. Il disco successivo, “Dio C’è”, è la conferma ufficiale del suo talento come liricista e sembra iscriverlo in un percorso ben definito e prevedibile da Rap star che, come si sa, verrà disatteso. Il rap per Lauro è il primo mezzo che trova a disposizione per esprimersi e tanto è forte l’urgenza che non pensa se è quello più giusto per lui; infatti, gli sta subito stretto, così inizia la sua sperimentazione che lo porterà verso una musicalità più melodica che ritmica, più pop che Hip-Hop. Se per i cultori del genere questa evoluzione può essere vista come una perdita di autenticità, a un orecchio più critico appare evidentemente come una ricerca mirata allo svelamento dell’identità più intima del cantante.Dopo il successo di Sanremo, che lo ha consacrato definitivamente a icona pop, Lauro non è più rappresentate di una sottocultura ma solo di se stesso, non può più celarsi dietro una maschera come ai primi concerti o dietro ai meccanismi del rap game, deve necessariamente spogliarsi da queste coperture, letteralmente.Questo cambiamento ci avvicina ,in un processo decostruttivo, alla vera indole di Achille Lauro, che rimane sempre centrato sulla sua interiorità raccontata attraverso un immaginario che oscilla dal scaro al profano, così si veste da San Francesco con un mantello di Gucci o si auto-battezza in diertta tv, come se stesse scrivendo altre pagine di quel “Vangelo secondo uno stronzo” con cui iniziò la sua carriera.Secondo voi qual è il vero Lauro?
Articolo a cura di Giuditta Cignitti!