Intervista a LE-ONE: una voce autentica della scena rap campana
Venerdì 11 ottobre, il rapper campano LE-ONE tornerà con il suo nuovo singolo “Nun è over”, arricchito dalle collaborazioni con Christian Liguori e Babywyne. Il brano, pubblicato sotto l’etichetta Epic/Sony Music Italy, rappresenta un ulteriore passo avanti nella carriera dell’artista, già aLermato grazie a successi come “ADDO STAJE” e “amo amo amo”.
LE-ONE si è imposto come una delle voci più autentiche della scena urban italiana, portando avanti un messaggio di verità e sfida che risuona profondamente tra i giovani, in particolare sui social, dove i suoi brani sono protagonisti di migliaia di TikTok creations. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare LE-ONE, esplorando la sua visione della musica, il nuovo singolo e l’evoluzione della scena rap.
In “Nun è over” parli di verità e autenticità. Quali sono le esperienze personali o sociali che ti hanno spinto a toccare queste tematiche nel brano?
La motivazione principale è semplicemente il fatto che attualmente vedo questo fenomeno molto in voga di essere “finti gangster”. Vedo bravi ragazzi che per sembrare forti fingono di essere chi non sono!
Il dialetto campano è una componente forte della tua musica. Quanto è importante per te mantenere questo legame con le tue radici, e credi che sia un limite o una forza quando comunichi con un pubblico più ampio?
Per me il dialetto è casa, mi trovo meglio a fare discorsi in dialetto, li sento più miei. Io sono partito inizialmente con l’italiano, ma in dialetto mi sento più me stesso; non lo vedo come un limite, anzi attualmente grazie ad artisti big come Geolier, che hanno portato il dialetto in tutta Italia, ormai non esiste più questa distinzione netta fra italiano e dialetto.
Le tue canzoni hanno un grande impatto sui social, specialmente su TikTok. Quanto influenza il feedback che ricevi online nella creazione dei tuoi pezzi? Pensi mai a come un brano potrebbe diventare virale mentre lo componi?
Io penso che la viralità di un brano la scelga molto l’ascoltatore, creare la viralità è essere anche “fortunati” nel fare quel brano in quell’esatto momento. Non è detto che se avessi fatto “ADDO STAJE” oggi avrebbe performato nello stesso modo, altrimenti tutti farebbero gli stessi brani uguali se avessero la certezza di fare hit.
Hai collaborato con Christian Liguori e Babywyne in “Nun è over”. Come nascono queste collaborazioni e quanto pensi sia fondamentale il lavoro di squadra nel rap e nella musica urban in generale?
Il lavoro di squadra, non solo nel rap ma in tutta la musica e in qualsiasi ambiente lavorativo, è importantissimo. È vero che bisogna essere forti anche da soli, ma con persone giuste attorno puoi soltanto migliorare; quindi, un lavoro con tante persone che hanno il tuo stesso focus e condividono i tuoi stessi obiettivi è importantissimo. Questa collaborazione in particolare è nata in studio all’improvviso, è stato un eLetto domino.
Hai iniziato giovanissimo a scrivere testi e a fare musica. Come pensi che il tuo stile sia cambiato nel tempo, sia a livello musicale che lirico, rispetto ai tuoi esordi?
Ho iniziato quando ero molto piccolo, avevo 13 anni. In sette anni sono cambiate tante cose, anche a livello musicale. Ho iniziato a scrivere nel momento in cui era esplosa la musica trap, poi si è evoluta e sono nati tanti stili nuovi. A me è sempre piaciuto evolvermi con il tempo e con la musica stessa, non mi sono mai focalizzato su una cosa sola.
Il tuo sound è influenzato dalle sonorità urban, ma affronti anche tematiche sociali profonde. Credi che la musica rap oggi debba avere una responsabilità sociale o debba solo intrattenere?
Io penso che la questione che il rap debba per forza affrontare tematiche sociali sia un po’ passata. Il rap è nato in questo modo, ma attualmente i testi che vanno per la maggiore purtroppo non sono più quelli; quindi, le tematiche sociali andrebbero affrontate da chi ne ha competenza in merito.
Cosa pensi del rap italiano attuale e della scena campana? Vedi qualche evoluzione in corso, e come ti posizioni tu in questo movimento?
Io faccio parte della scena italiana. Cantando in dialetto ovviamente si è più legati a quella campana, ma è anche vero che, ad oggi, il dialetto campano è ascoltato in tutta Italia, quindi c’è stata un’evoluzione dal definirsi prettamente “rapper campano” a “rapper italiano”.
Hai mai sentito la pressione di dover essere all’altezza delle aspettative che il successo di brani come “ADDO STAJE” hanno creato? Come gestisci questa responsabilità?
L’aspettativa che “ADDO STAJE” diventasse una hit era pari a zero, è stato tutto molto inaspettato ma sono contento che il pezzo sia arrivato in questo modo. Paradossalmente, è stato un brano nato un po’ per gioco, ora ho un approccio diverso e aLronto tematiche diverse.
I tuoi testi riflettono spesso un senso di sfida e orgoglio. Quanto c’è di autobiografico in ciò che scrivi? Ti consideri un portavoce della tua generazione?
Tutti i miei testi sono autobiografici, per la maggiore parlo di situazioni che vivo in prima persona, non parlo a nome di altri. In molti mi accusano di voler fare il gangster perché parlo di sfide, ma si può discutere con le persone e parlarne anche senza esserlo. Io sono un bravo ragazzo che canta canzoni d’amore e che, nella giusta misura, ama il confronto.
Non mi identifico come un portavoce per i ragazzi della mia generazione, ma mi sento alla loro pari. È normale che, essendo i miei ascoltatori principalmente miei coetanei, si sentano rispecchiati in quello che dico, alla fine viviamo le stesse esperienze alla pari.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi obiettivi artistici? Dove vedi il progetto LE-ONE nei prossimi anni?
Sicuramente spero di arrivare a fare ciò che mi piace, facendo un’evoluzione di ciò che faccio oggi. Mi piacerebbe riuscire a crearmi una fan base solida, di persone che mi vogliono bene e che capiscono ciò che scrivo e gli danno il giusto valore. Già lo stanno facendo ora, spero che questo possa evolvere sempre di più nel tempo, pezzo dopo pezzo!
Intervista a cura di Eva Berretta!